Alla cerimonia oltre ai deputati hanno partecipato 78 capi di Stato e di governo e funzionari di alto livello delle organizzazioni internazionali tra cui il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. Erdogan comunque avrà poco tempo per festeggiare: sono molti gli impegni a cui dovrà fare fronte
di Corinna Pindaro
Recep Tayyip Erdogan ha prestato giuramento davanti al Parlamento di Ankara. Il presidente turco,rieletto lo scorso 28 maggio, dopo aver vinto al ballottaggio contro Kemal Kılıçdaroğlu è al potere da vent’anni ed è ufficialmente il presidente più longevo della Turchia.
Alla cerimonia hanno partecipato i 600 deputati eletti lo scorso 14 maggio e 78 capi di Stato e di governo e funzionari di alto livello delle organizzazioni internazionali, tra questi: il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg; il presidente venezuelano, Nicolas Maduro; il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, il vicepresidente dell’Iran, Mohammad Mokhber; il primo ministro ungherese Viktor Orban e il presidente della Camera bassa del Parlamento russo, Vyacheslav Volodin. Degna di nota anche la presenza del primo ministro armeno, Nikol Pachinian, nonostante le storiche tensioni tra i due Stati.
Il dato certo è che comunque Erdogan non avrà molto tempo per godersi la vittoria. Ai capitoli lasciati in sospeso dal mandato precedente si sommano gli impegni assunti durante la campagna elettorale per convincere oltre ai suoi fedelissimi anche gli indecisi.
In primo luogo Erdogan dovrà intervenire sulla politica economica del Paese. Sebbene l’inflazione sia in discesa secondo i dati ufficiali, in pratica è al 44% con dirette conseguenze sul costo della vita. A questo si aggiunge il fatto che in campagna elettorale Erdogan ha alzato il minimo salariale e promesso un ulteriore rialzo entro luglio. Inoltre, dovrò trovare i soldi per fare la manovra. Impresa ardua considerato che nei giorni scorsi la Banca Centrale turca ha fatto sapere di avere un buco di 151,3 miliardi di dollari.
In secondo luogo il Erdogan dovrà lavorare per far fronte alle promesse fatte alle popolazioni colpite dal sisma. Negli ultimi giorni di campagna elettorale Erdogan si è recato nelle aree colpute e ha promesso espressamente che saranno 330 mila le case ricostruite in un anno, la metà delle 660 mila necessarie per completare la ricostruzione.
Resta, poi, aperta la questione siriana. Erdogan è stato in più occasioni attaccato dall’opposizione per “non aver saputo difendere i confini e aver lasciato passare 10 milioni di siriani per conquistare voti”. Dal canto suo il leader turco ha definito “inumane e non islamiche” le parole dell’opposizione ed ha promesso che un milione di siriani farà ritorno “volontariamente e dignitosamente” nei territori di origine, in case che la Turchia sta costruendo con soldi del Qatar nelle aree del nord della Siria che Ankara controlla più o meno direttamente e che il regime di Damasco rivuole.
Infine c’è la questione dell’ingresso nella Nato della Svezia, il governo turco aveva infatti rinviato a dopo le elezioni qualsiasi decisione sull’allargamento. Bisognerà in concreto capire quante saranno le estradizioni da parte di Stoccolma e gli effetti della nuova legge sull’antiterrorismo varata dal governo svedese.
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