Una delle più controverse elezioni presidenziali riporta al Quirinale e consolida a Palazzo Chigi i nostri uomini migliori, quelli che il Paese voleva sin da principio. I partiti ne escono distrutti, il sistema politico è da rifondare
di Guido Talarico
La rielezione di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica, e la conseguente permanenza di Mario Draghi alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, è una buona notizia per l’Italia. Dato il contesto, è la migliore soluzione che potesse uscire da una delle fasi più complicate e peggiori della storia Repubblicana. Alla fine ha vinto il Parlamento che è riuscito a costringere i partiti, i veri sconfitti di questo confronto, a piegarsi all’unica soluzione possibile che poi era quella che la maggior parte degli italiani chiedeva sin dal principio. Hanno vinto le istituzioni più importanti, la Presidenza delle Repubblica e del Consiglio e il Parlamento, di fronte alla conclamata incapacità della politica di assolvere al proprio ruolo di rappresentanza e di tutela degli interessi della collettività.
I nomi dei candidati bruciati nelle prime sette chiamate, nella maggior parte dei casi personalità di grande spessore, resteranno impressi nella memoria collettiva come simbolo della pochezza e della misera autoreferenzialità di un sistema dei partiti che non riesce ad andare oltre l’inseguimento, per altro vano, delle proprie velleitarie ambizioni, dei propri piccoli interessi di bottega. Questo disastro messo in scena dai partiti, l’ultimo e certamente tra i più eclatanti di sempre, rimane un male, un vulnus della nostra democrazia sul quale riflettere e sul quale intervenire quanto prima.
La spaccatura verificatasi nelle coalizioni di destra e di sinistra, le misere furbizie alle quali abbiamo dovuto assistere, le bugie e i tradimenti, la retorica populista che fa presa sulle classi sociali più deboli e per questo ancor più deprecabile, descrivono un sistema dei partiti arrivato inesorabilmente al capolinea. Un capolinea che deve però diventare al più presto il punto di ripartenza di una nuova corsa, di un nuovo inizio. La politica è la base di una democrazia ma ne è anche l’altezza, perché una politica incapace produce azioni inefficaci che fiaccano le istituzioni, impoveriscono la nazione, esasperano i cittadini allontanandoli dalle responsabilità che impone la convivenza in comune.
Bisognerà ripartire da qui perché alla fine, in una società, la buona politica è un indicatore della propria consistenza, del livello etico che la connota. Per dirla con Sandro Pertini: “non esiste una moralità pubblica e una moralità privata. La moralità è una sola, e vale per tutte le manifestazioni della vita. E chi approfitta della politica per guadagnare poltrone o prebende non è un politico. È un affarista, un disonesto”. Bisognerà ritornare a questo, riportare quel complesso di norme e di comportamenti che disciplinano la vita di una società, anzi che ne sono la massima espressione di rappresentanza, alla loro missione originaria di servizio etico per la collettività.
Ma tornare alla buona politica richiede tempo. Necessita di un lavoro di base che significa intanto far crescere l’elettorato, riportarlo a riconoscere i valori fondanti le società civili più avanzate come il discrimine in base al quale compiere le proprie scelte. In altre parole significa tornare alla competenza, alla conoscenza e alla saggezza istituzionale. Significa cioè ripartire dalle scuole e dalle università, i soli luoghi capaci di formare e forgiare le coscienze sociali che compongono una società. Un percorso lungo i cui frutti si vedono soltanto dopo anni, ma anche l’unico capace di dare i risultati attesi. E ‘ da qui che dovremo ripartire.
Oggi dunque non ci rimane che celebrare lo scampato pericolo, vissuto come tale anche dalle principali cancellerie europee, e ringraziare Mattarella. E farlo sentitamente, perché l’uomo veramente voleva tornare a fare il nonno, ritrovare il tempo e la pace per le sue amate letture. Chi ha assistito all’incontro tra Mattarella e i capigruppo, convocati tutti insieme per evitare i penosi e pietistici pellegrinaggi già visti prima del Napolitano bis, riferisce di un incontro particolarmente emozionato consumatosi in un clima grave, da fine di un’epoca. Emozionati i capigruppo che sapevano di dover chiedere una forzatura ad un giurista che si era già manifestato negativamente, emozionato lo stesso Presidente Mattarella che sapeva, come poi ha lui stesso raccontato, di non potersi non assumere la responsabilità istituzionale di questa nuova investitura.
Si, il Paese e la politica devono dire veramente grazie, a questo uomo e, diciamolo, alla sua famiglia, i suoi figli, i suoi nipoti, come anche a tutti gli uomini e le donne del suo entourage, a cominciare dal Segretario generale Ugo Zampetti, che dovranno riaprire gli scatoloni, gonfiare il petto e ritrovare la forza e la determinazione per tornare nell’agone e affrontare le tremende sfide che li attendono. Perché di questo si tratta. Draghi e Mattarella hanno fatto l’unico gioco di squadra possibile per mettere il Paese a riparo dalle speculazioni ed in marcia per affrontare pandemia, crisi economica e crisi internazionale e allo stesso tempo per gestire bene il PNRR, il piano che forse più del Marshall post-bellico racchiude in sé le uniche possibilità di rilancio del Paese.
Le poche chiarissime parole di Mattarella dopo aver ricevuto l’incarico da parte dei presidenti di Camera e Senato, Fico e Casellati, riportano ai temi della responsabilità e della fedeltà alla Costituzione. Riportano alle parole di Leopoldo Elia, guarda caso maestro proprio di Zampetti, quando diceva che “la vitalità di una Costituzione dipende dalla lealtà dei cittadini verso i suoi principi fondamentali”. La politica ha fatto un disastro, i partiti hanno mostrato tutta la loro inadeguatezza. Mattarella invece ha rimesso le cose a posto, ha indicato ancora una volta la strada giusta. E con lui e con Draghi in qualche modo alla fine si è schierato anche il Parlamento, divincolandosi dal giogo dei partiti e passo dopo passo, pur bruciando fior di candidati, arrivando nell’ottava “chiama” a far trionfare quel “ticket” che la maggior parte degli italiani voleva sin dal primo giorno sul Colle e a Chigi semplicemente perché erano i migliori.
Questa brutta pagina della storia politica italiana apre ora la strada a due percorsi diversi ma entrambi di straordinario valore. Mattarella e Draghi dovranno prendere per mano il Paese e portarlo a gestire bene il PNRR, la crisi energetica, la crisi economica, ad affrontare le emergenze internazionali e a varare tutte quelle riforme (giustizia, burocrazia, scuola, pensioni) che possano rimettere l’Italia in grado di affrontare la corsa che le necessita per recuperare il terreno perduto.
Questo è il contingente, l’emergenza. Poi c’è la parte strategica, la prospettiva. Come dicevamo, serve rifondare i partiti, riportare tutti di più verso la politica, verso l’impegno sociale a difesa del bene comune. Il disastro di questi giorni costringerà i segretari, forse escludendo Renzi, a dover rivedere tutto. Dovranno partire da un’analisi socratica di conoscenza interna, capire bene quali siano le cause del loro dissesto e poi affrontare con coraggio il cambiamento di cui hanno bisogno. Non potranno farlo da soli, avranno bisogno della società civile, delle persone comuni come delle istituzioni pubbliche in senso ampio. E questo rende tutto più complicato. Ma quando un Paese come il nostro è costretto per la seconda volta di seguito a richiamare in servizio il Presidente uscente e mettere un tecnico alla guida del Governo vuol dire essere arrivati ad un punto di non ritorno. Il legislatore ha lasciato aperta la porta alla rielezione del Capo dello Stato contemplando la possibilità che in casi eccezionali, ad esempio una guerra, il paese possa rieleggerlo. Ma le guerre non possono durare 20 anni, cioè quasi il lasso di tempo che intercorre tra il primo Napolitano e il secondo Mattarella, perché superare certi limiti porta se non al caos al collasso. Da domani tocca a tutti rimboccarsi le maniche e rimettersi a lavorare sodo, consci che la presenza di Mattarella e Draghi è un dono da non sciupare, l’opportunità per un futuro migliore da cogliere come quei treni che non passano più.
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