Una campagna diffamatoria ordita dal TPLF punta ad indebolire l’immagine e la posizione del Premio Nobel per la pace Abiy in vista delle prossime elezioni

di Guido Talarico

La campagna diffamatoria che negli ultimi mesi ha colpito il Presidente dell’Etiopia, Ahmed Abiy, e con lui due nazioni intere, cioè la stessa Etiopia e l’Eritrea, impongono una riflessione più ampia che non riguarda il solo Corno d’Africa. Per capire quello che sta accadendo occorre partire da un termine divenuto desueto, cioè colonizzazione. Il percepito comune farebbe pensare che il colonialismo, vale a dire quella politica estera che mira all’accaparramento di territori oltremare ricchi di materie prime e manodopera, sia una pratica sparita nello scorso secolo. Non è così. Stati Uniti, Europa così come Cina e la stessa Russia hanno continuato e continuano a praticare politiche colonialistiche sempre e solo per interessi economici.

Quello che è cambiato rispetto a prima sono gli strumenti di lotta. Mentre fino al ‘900 per accaparrarsi nuovi territori i colonialisti usavano da subito le armi, ora gli strumenti di conquista seguono un altro iter: si comincia con la propaganda, poi si applicano le sanzioni economiche e alla fine, se i paesi “oggetto del desiderio” dovessero ancora resistere, arrivano gli eserciti. In Libia, in Iraq e nella stessa Crimea, tanto per fare degli esempi, è andata così. Fomentare il terrorismo è un altro usatissimo strumento per indebolire le democrazie più giovani. Ma se in questi casi si è dovuti arrivare fino alla soluzione ultima, quella delle armi, in molto altri casi per sottomettere un paese basta la leva finanziaria (la Cina è maestra nell’indebitare i paesi deboli per poi accaparrarsi le infrastrutture più strategiche) oppure, come dicevamo, la leva propagandistica e quella delle sanzioni.

In questo schema rientra perfettamente il Corno d’Africa. Sulla grande stampa internazionale appare in prevalenza una narrativa falsa che fa due vittime: la verità storica e le Organizzazioni Non Governative (ONG). Un fatto assai grave perché la verità storica è quella su cui poi si basano le scelte politiche delle singole nazioni e delle organizzazioni internazionali che governano il pianeta e grave perché alcune parti in gioco usano e strumentalizzano le ONG, facendo così perdere a queste fondamentali strutture umanitarie la neutralità che è all’origine della loro credibilità.

Nel Corno d’Africa si tende a sovvertire la verita storica dei fatti con una intensa attività propagandistica

La verità del Corno d’Africa, pure essendo semplice da ricostruire, viene di continuo travisata. I fatti sono questi: un paese di quasi cento milioni di abitanti, l’Etiopia, è stato governato (e ampiamente derubato) dalla minoranza tigrina che per vent’anni ha saputo dividere e controllare le altre due etnie di maggioranza, vale a dire gli Oromo e gli Amhara, tenendoli ai margini della gestione del paese grazie al controllo dell’esercito. Dopo vent’anni di egemonia sull’Etiopia e altrettanti di guerra alla vicina e un tempo alleata Eritrea, i tigrini hanno perso il potere , grazie all’ascesa di Ahmed Abiy, un giovane e carismatico leader di nascita oromo che nel giro di pochi mesi ha fatto la pace con l’Eritrea, trovando nel presidente Isaias Afewerki un solido alleato, pacificato l’intera area (grazie anche ad un accordo con la Somalia) e indicato una strada di prosperità e sviluppo per l’intero Corno d’Africa.

Il problema sta tutto qui. Questo piano di Abiy ha trovato moltissime opposizioni esterne a cominciare dai tigrini, che avendo negli anni posizionato gran parte degli armamenti nazionali nella loro regione (il Tigray) e avendo accumulato ingenti fortune economiche, hanno cominciato a fare le loro mosse. La prima è stata quella di non voler accettare la pace storica con l’Eritrea, che risaliva a 20 anni prima, che Abiy ha di nuovo riconosciuto, ma che nei fatti il principale partito tigrino, il TPLF, non ha mai accettato. Un po’ come se, dopo la seconda guerra mondiale, la Francia, pur avendo firmato gli accordi di pace di Parigi del 1947, avesse continuato ad attaccare l’Italia. Nonostante il Governo di Addis Abeba avesse stabilito una sua linea politica di pace e di sviluppo e grazie a questa il suo Presidente Abiy avesse vinto il premio Nobel per la Pace, nonostante tutto questo i tigrini hanno continuato a remare contro, utilizzando tutti capitali e disposizione e, imperdonabilmente, cominciando a utilizzare le ONG per denigrare tanto il governo etiope che quello eritreo.

Ma non solo questo. Vedendosi sempre di più alle strette hanno provato la via militare. Hanno cioè tentato di usare tutti gli armamenti accumulati nella loro regione (Nord Comand) per resistere al Governo nazionale. Ancora, tanto per fare un esempio europeo, è come se la Francia avesse lasciato la gestione della Corsica ai terroristi irredentisti. Al quel punto Abiy non ha avuto altra possibilità che entrare con l’esercito nel Tigray per ristabilire leggi e ordine. Una guerra durata poche settimane, ma pur sempre una guerra e, come tutte le guerre, portatrice di morti e atrocità. Sul campo i tigrini perdono sempre, anche quando militarmente sarebbero più dotati. E non è un fatto di coraggio, ma è semplicemente perché la popolazione tigrina di fatto sa che i vertici del TPLF li hanno sempre mandati allo sbaraglio quindi sceglie di non combattere. Perso tutto, alle élite tigrine non è rimasto che giocare l’arma della propaganda. E lo hanno fatto nel modo peggiore utilizzando i più deboli e strumentalizzando le ONG.

Lo scenario degli scontri, il Tigray, è una regione etiope al confine con l’Eritrea. Un territorio non facile da raggiungere e comunque rimasto inaccessibile alla stampa durante il conflitto tra truppe governative e tigrine. La maggior parte di chi ha scritto in questi ultimi mesi lo ha dunque fatto basandosi su racconti di terza e quarta mano, quasi tutti di fonte tigrina. Ed è qui che si è assistito alla solita gigantesca azione di propaganda messa in atto utilizzando anche la buona fede di alcune ONG.

Dopo venti anni di vessazioni Oromo, Amhara e Eritrei legittimamente vogliono mettere fine al dominio tigrino

Vorrei essere ulteriormente chiaro. Oromo e Amhara e con loro gli Eritrei sono stati vessati per più di vent’anni non dai tigrini ma dalle élite che li hanno governati, dunque è inevitabile, e direi anche legittimo, che tutti questi popoli avessero voglia di chiudere la partita contro i tigrini una volta per tutte. E con altrettanta forza va ricordato che quando si va in guerra si va incontro ad atrocità, a soprusi e a morti di innocenti. Il Tigray non ha fatto eccezioni, la popolazione ha sofferto gravi perdite ed è stata costretta ad evacuazioni di massa. Do, purtroppo, anche per scontato che vi siano state violenze gratuite da parte dell’esercito etiope. Evenienza sulla quale lo stesso Abiy ha promosso un’inchiesta per accertare ed eventualmente punire i responsabili. Ma bisogna fermarsi qui.

In questa vicenda bisogna dire senza alcuna esitazione che la verità storica sta tutta dalla parte dell’Etiopia e dell’Eritrea e dei loro rispettivi leader Ahmed Abiy e Isaias Afewerki. La parte dei cattivi, di quelli che per propria ambizione e per interessi personali hanno sacrificato la vita ed il futuro dell’intero Corno d’Africa sono stati esclusivamente i leader del TPLF, gente che per 20 anni ha tenuto in scacco e vessato gli oromo, gli amhara, gli eritrei e decine di altre etnie, riducendoli alla fame e alla povertà, impedendo loro di svilupparsi in modo pacifico.

Dicevamo all’inizio del colonialismo. I tigrini sono riusciti a reggere il loro potere perché per 20 anni hanno avuto il sostegno degli Stati Uniti e dell’Europa ai quali faceva comodo avere stabilità in quell’area. Il classico “divide et impera” che gli imperialisti di tutti i tempi, dai macedoni, ai romani ai francesi, hanno usato e usano per scomporre le forze locali e controllarle. Il TPLF ha mantenuto il poter con la propaganda, l’unica arma che oggi gli è rimasta e che continua ad usare ferocemente avendo come unico obiettivo fare cadere Abiy. Dipingerlo come un tiranno sanguinario, macchiare il suo premio Nobel, e con esso la credibilità internazionale, e così, una volta indebolito, fare salire al potere l’ennesimo fantoccio quando si dovrà rivotare. Questo è lo scenario, questo è lo schema.

Quasi tutti i racconti agghiaccianti di questi mesi, fatti di eccidi e violenze, sono stati in molti casi creati “ad hoc”. Sono pure fake news, quasi tutte poi smentite dalla verifica dei fatti, da testimonianze dirette. Vediamole alcune di queste falsità messe in giro dai tigrini che hanno fatto il giro del mondo. Prendiamo il caso della cosiddetta “Monalisa” un’attivista e miliziana dell’Esercito di Liberazione del Tigrai rimasta gravemente ferita negli scontri del 4 novembre scorso durante la presa del Nord Comand detenuto dai tigrini. L’hanno fatta passare per una vittima degli etiopi, ma il racconto truce della povera ragazza che è risultata in realtà una miliziana tigrina , è stato smentito dallo stesso padre che, nel corso di un’intervista effettuata proprio a giornalisti Tigrini, ha denunciato la falsità del racconto fatto dalla figlia spiegando che le ferite riportate erano frutto dello scontro militare e non di sevizie. Anche Il cosiddetto massacro di Axum sembra in realtà un falso messo in rete da attivisti del Fronte di Liberazione Tigrino residenti in Occidente. Una attenta verifica delle testimonianze riscontrate nei rapporti di ONG, scritti in realtà da attivisti Tigrini, sembrano ampiamente dimostrarlo. Come dall’altro lato nessuno parla del massacro perpetrato a Mai Kadra, che viene ignorato forse perché lì le vittime erano tutte di origine Amhara.

Tante fake news: 10.000 criminali comuni scarcerati prima della fuga delle élite tigrine da Macalle e travestiti da soldati eritrei

Un altro esempio di disinformazione clamoroso riguarda la liberazione di più di 10,000 criminali comuni dalle proprie carceri ordinata dai vertici del TPLF prima di abbandonare Macallè, il capoluogo del Tigray. Una trappola mediatica clamorosa: questi criminali comuni prima di essere messi in libertà sono stati vestiti con uniformi dell’esercito eritreo confezionati in una fabbrica tigrina, armati e spinti a commettere atti da attribuire in seguito ai nemici eritrei. Sono loro quindi ad avere compiuto violenze e ruberie, sono loro che sono stati usati per gettare fango sugli eritrei. Per fortuna la gente parla, la popolazione comune sa la verità, anche quella tigrina, quindi pian piano la realtà dei fatti emerge. Ma intanto la stampa internazionale, sempre a caccia dell’ultima sporca storia di guerra, spara quel che gli raccontano.

Gli episodi sono molteplici. Quasi ogni giorno si ascolta e si legge di atrocità, ma poi puntualmente arrivano le smentite. L’ultima arrivata è quella che riguarda la violenza delle donne, una questione orrenda. Storie di sevizie ripetute su centinaia di donne. Naturalmente dapprima tutti si schierano contro l’esercito etiope e eritreo, poi pian piano arriva la verità. A questo proposito esistono numerosi studi e testimonianze che dimostrano come la pratica delle sevizie alle donne tra i tigrini è molto diffusa. Una piaga storica, documentata da vari studi. Anche uno sguardo sommario a questi documenti mostra come le agenzie delle Nazioni Unite come l’OMS, l’UNFPA e altre, e le ONG che operano nella regione del Tigray, così come vari stati europei che finanziano le loro operazioni, sanno della crisi degli stupri nella regione del Tigray da oltre due decenni. Eppure, oggi, fanno finta che sia un problema legato alle operazioni di applicazione della legge da parte del governo centrale. Peggio ancora, puntano il dito contro l’Eritrea, una nazione dove lo stupro risulta praticamente inesistente.

Nello studio “Prevalenza e fattori relativi alla violenza di genere tra le studentesse degli istituti di istruzione superiore nella città di Mekelle, Tigray, Etiopia settentrionale” si ritrovano per esempio la parole di uno studioso, Gebreyohannes, Yaynshet, che descrive così il fenomeno: “…Un’indagine trasversale basata sull’istituzione, utilizzando un questionario anonimo autosomministrato e un focus group di discussione, è stata condotta tra le studentesse del college di Mekelle, Etiopia settentrionale, nel marzo 2007 per determinare la prevalenza e i fattori associati alla violenza di genere… Un totale di 1024 studentesse sono state coinvolte nello studio… la prevalenza complessiva della GBV nella vita e nell’anno corrente è risultata essere del 62%. 1% … La GBV nell’anno in corso è stata associata alle studentesse che hanno assistito alla violenza dei genitori da bambine, che hanno attualmente un fidanzato, che erano sessualmente attive al momento dell’indagine, con una storia di consumo di alcol e con coetanei ubriachi (maschi o/e femmine), la cui residenza nell’infanzia era in una zona rurale e con scarso rendimento scolastico. Nelle discussioni dei focus group, sia nei gruppi femminili che maschili, è stato sottolineato che la tolleranza dei funzionari, le tradizioni che premiano la mascolinità e la perdita di fiducia da parte delle femmine su come negoziare le relazioni sessuali stavano esponendo le ragazze alla violenza di genere anche negli istituti superiori… Sulla base dei risultati dell’indagine, si conclude che la violenza di genere è un problema comune e serio tra le studentesse del college nell’area dello studio. ...”

Ancora in una ricerca datato gennaio 2020 e intitolata “Fattori associati alla violenza sessuale tra il personale amministrativo femminile dell’Università di Mekelle, Etiopia del Nord”, di cui sono autori Sara Bahta Galu, Haftu Berhe Gebru, Yohannes Tesfay Abebebe, Kahsu Gebrekirstos Gebrekidan, Atsede Fantahun Aregay, Kidane Gebremicheal Hailu, Gerezgiher Buruh Abera, i ricercatori illustrano la prevalenza della violenza di genere nella regione del Tigray in Etiopia. In questo studio si legge: “...Come parte dell’Etiopia, nel Tigray, la violenza sessuale è ancora alta, per esempio, una ricerca fatta nell’ospedale di Adigrat mostra che il 60,2% dei casi di stupro si è verificato tra i bambini e gli adolescenti...”

La verità storica dice che Etiopia ed Eritrea hanno il diritto di rivendicare la loro indipendenza e di difendersi dagli attacchi proditori del TPLF

Sono stato tre volte in Eritrea e una in Etiopia. Ma non ero lì durante la presa del Tigray, era impossibile andarci: per il Covid e perché la situazione nel suo complesso era molto pericolosa. Nessuno occidentale, da quel che ne so, era lì, quindi tutti parliamo attraverso il racconto delle rispettive fonti. Dunque, bisogna fare molta attenzione nel decifrare i racconti. Bisogna avere fonti affidabili, verificate nel tempo. Bisogna non inseguire la sparata più grossa per soddisfare l’insopprimibile gusto dello scoop. Le ONG sono strutture fondamentali per il sostegno alle popolazioni più deboli, la loro opera è spesso determinante, per questo occorre tenersi lontano dai racconti di parte, dagli scoop interessati. Bisogna attenersi ai fatti. Anche sulle ricostruzioni che ho fatto qui io bisogna andare con cautela. Perché la verità e di chi l’ha vista non di chi la racconta.

Mai come in questi casi bisogna partire dunque dai fatti certi, dalla verità conclamata: e qui i fatti certi sono che Abiy è il presidente eletto dell’Etiopia, che il TPLF si è rifiutato di rispondere all’autorità del Governo di Addis Abeba provando a distaccarsi dal paese, che il TPLF si è rifiutato di rispettare gli accordi di pace con l’Eritrea, che il TPLF sta utilizzando tutti i mezzi in suo possesso per discreditare e compromettere il futuro di Abiy e con lui dell’intero Corno d’Africa. Partendo da qui, dalla verità dei fatti, si vedrà meglio quali sono gli obiettivi reali in gioco e chi, per gli interessi colonialistici di cui dicevamo all’inizio, ha interesse ad avere un Corno d’Africa lacerato da dispute etniche, diviso e quindi debole.

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